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La ricerca di un principio: dalle origini alla scuola di Mileto

2. L'ordine

Seguendo la Teogonia di Esiodo, in principio era il Caos, lo spazio aperto, l’abisso, il Tutto non definibile e di cui, di conseguenza, non si può parlare. Ma se il Caos è già il Tutto (che quindi non esclude niente), nel Caos si trova già tutta la realtà (che se ne parli o meno). Quella che manca, e di cui la Filosofia pone come suo obiettivo e oggetto di ricerca, è la Verità, cioè poter affermare qualcosa di quel Tutto per quello che è. Si rende necessario dunque un ordine, un principio che permetta del Caos di identificare qualcosa di predicabile, che il soggetto è in grado di riconoscere (perché il Caos, per definizione, è ingiudicabile).

Nella cosiddetta terza generazione degli Dei, da Chronos (il Tempo), perché ci vuole il “tempo” per mettere “ordine” al Caos, nasce Zeus. Zeus a seguito della lotta con il padre (che metaforicamente potremmo leggere come “lotta contro il tempo”) diviene padre dei dèi. Gli dèi si vedono attribuiti ognuno un proprio ruolo nella legiferazione della natura. Quella natura che è per sua definizione il regno delle cose che cambiano (che nascono, da cui l’origine della stessa parola “natura”, e quindi muoiono, sempre nel “tempo”), ma di ciò che cambia, se non se ne conoscono le cause, non è possibile esprimere alcunché di vero. Da qui il bisogno di un principio (Zeus) che dia ordine tramite leggi (gli dèi) e queste non devono essere nel tempo, ma nell’eterno, perché, appunto, non siano soggette al cambiamento.

Ma è possibile comprendere queste leggi? Se viviamo nel tempo come possiamo conoscere leggi che sono eterne?

Seguendo un altro mito il problema si era già posto nella teogonia greca: è necessario possedere quel qualcosa del Tutto che permetta non solo di farne parte ma di comprenderlo come il tutto stesso, occorreva qualcosa di eterno anche nell’uomo che pretende di vivere sia nel tempo che nell’eterno. Il mito in questione è quello di Dioniso.

Secondo una versione di questo mito, Dioniso, figlio di Zeus (uno dei tanti), fu divorato dai Titani (smembrato, bollito, arrostito e mangiato). Zeus, per punizione, folgorò e incenerì i Titani, e, dal resto delle loro ceneri, nacque il genere umano. Gli uomini sono dunque fatti di cenere (nascono e muoiono, ovvero si aggregano e decompongono nel tempo) ma hanno anche una sorta di natura divina perché i Titani, prima di essere inceneriti, hanno divorato Dioniso, e quindi qualcosa di divino si trova nei loro resti. Dal mito di Dioniso, l’orfismo (e non a caso una buona parte dei filosofi delle origini sono orfici) trae una serie di riflessioni sulla natura umana: nell’uomo, derivato dal “vapore” dei Titani, è presente una componente dionisiaca, che ne attesta l’appartenenza agli dèi. Detto in altro modo, l’orfismo presenta una visione dell’uomo caratterizzata da due componenti: il corpo titanico e corruttibile e l’anima dionisiaca immortale. Nel corpo alberga, infatti, una sorta di “scintilla divina”, un’anima immortale e destinata a tornare agli dèi, che vive la vita nel corpo in modo innaturale, doloroso, lacerante. Al di là degli scopi dei riti purificatori praticati dagli orfici (liberare l’anima immortale dalla sua prigione, il corpo mortale, riti che in Pitagora e Platone diventeranno episteme), che non trattiamo adesso, è importante ricordare questa peculiarità insita nell’uomo di comprendere l’ordine dell’universo e che per comprenderlo deve comprendere (anzi, partecipare) la propria natura divina e immortale.

Tradotto in termini ancora più semplici: in una natura dove tutto scorre e tutto cambia, esprimere verità significa conoscere l’ordine che non cambia e per far questo significa conoscere come le cose sono non nel tempo ma nell’eterno.