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Il dopoguerra italiano e l'ascesa del Fascismo

2. Il biennio rosso (1919-1920)

Nel 1919 le elezioni politiche, tenutesi con il nuovo sistema elettorale proporzionale, videro l’affermazione dei grandi partiti di massa, in particolare il Partito socialista e il Partito Popolare, fondato lo stesso anno dal prete cattolico don Luigi Sturzo. Era il segno del grande malessere sociale e della forza delle rivendicazioni che esplosero nei mesi successivi con l’occupazione delle terre e l’ occupazione delle fabbriche. Queste manifestazioni furono più marcate del nord Italia, centro dello sviluppo industriale nazionale e dell’organizzazione sindacale operaia e contadina. Nelle terre della pianura padana i contadini rivendicavano l’imponibile di manodopera contro lo sfruttamento padronale, mentre nelle fabbriche del triangolo industriale si tentò di organizzare dei Consigli di fabbrica sul modello dei soviet russi. Quest’ultimo episodio, nell’estate del 1920, vide su fronti contrapposti due importanti figure della storia politica nazionale: Antonio Gramsci, leader di Ordine Nuovo fu l’organizzatore dell’occupazione operaia a Torino; Giovanni Giolitti tornato al governo a fine primavera dello stesso anno, mediò quest’ennesimo conflitto che si concluse col fallimento dell’ipotesi rivoluzionaria. 
Nel gennaio successivo (1921) al Congresso di Livorno il partito socialista subirà una decisiva scissione. Nascerà in quella sede il Partito Comunista Italiano, guidato da Amedeo Bordiga e Antonio Gramsci, che ispirerà la sua azione alle direttive della Terza Internazionale Comunista.