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Guerra di Indipendenza Americana

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Corso: Liceo Italiano IMI di Istanbul (classi terze)
Libro: Guerra di Indipendenza Americana
Stampato da: Utente ospite
Data: martedì, 24 dicembre 2024, 14:24

1. Le 13 colonie

L'Inghilterra, a metà del 1700, possedeva in Nord America 13 colonie.

Le tredici colonie americane occupavano, attorno alla metà del Settecento, la fascia costiera atlantica, limitata a nord dalla regione dei Grandi Laghi, a sud dalla Florida spagnola, a Ovest dalla catena di Appalachi.

Le tredici colonie erano abitate da un milione e mezzo di coloni (di cui 300.000 erano schiavi neri), che crescevano rapidamente in numero e ampliavano gradualmente i loro domini a danno delle tribù dei Pellerossa.

La colonizzazione inglese del Nord America si era svolta in tempi piuttosto lenti, tra l’inizio del 1600 e la metà del 1700, ed era stato il risultato di una serie di azioni e spinte diverse. Le motivazioni erano prevalentemente tre:

  • motivazioni economiche: molte compagnie commerciali, ma anche piccoli proprietari cercarono fortuna nel Nuovo Continente
  • motivazioni di politica interna: molti furono i dissidenti politici e religiosi – in particolare i puritani in conflitto con la Chiesa anglicana – che emigrarono (soprattutto a partire dalla monarchia di Giacomi I Stuart - nota è la spedizione del Padri Pellegrini nel 1620)
  • motivazioni di politica estera: l’espansione territoriale, nell’epoca delle grandi monarchie nazionali, era necessaria per garantirsi in Europa il ruolo di prima potenza

Le tredici colonie del Nord America erano differenti per religione ed etnia, organizzazione sociale ed economica. Si potevano distinguere tre zone: le colonie del Nord, del Sud e del Centro.
Le quattro colonie del Nord – Massachusetts, Rhode Island, Connecticut, New Hampshire – furono fondate tra il 1620 e il 1680 da gruppi di puritani in dissenso con la Chiesa anglicana. Esse presentavano condizioni climatiche simili a quelle dell’Europa nord – occidentale, che avevano permesso la coltivazione dei cereali e la costituzione di villaggi rurali che riproducevano il modello originario della comunità puritana. Sulla costa, però, fiorivano anche centri urbani, in cui compariva una prima industria cantieristica, che forniva circa il 50% del tonnellaggio alla flotta britannica.
Le cinque colonie del Sud -Virginia, Maryland, Carolina del Nord e del Sud, Georgia – presentavano, invece, un’economia fondata sulla piantagione, sulla grande proprietà e sul lavoro degli schiavi neri di origine africana.
Le quattro colonie del Centro – New York, New Jersey, Pennsylvania, Delaware – non costituivano un blocco omogeneo, ma avevano caratteristiche sia del Nord che del Sud.


I rapporti tra le tredici colonie e la madrepatria erano piuttosto positivi inizialmente: i coloni si sentivano inglesi, sudditi della corona britannica, l’identità americana – protagonista della Rivoluzione – nascerà solo in seguito.

Sotto il profilo economico le tredici colonie erano del tutto dipendenti dall’Inghilterra. Questa, infatti, deteneva il monopolio sui commerci da e per le colonie. Solo le navi inglesi potevano commerciare con il Nord America e tutte le merci dirette alle colonie dovevano passare per la Gran Bretagna. La quasi totalità della produzione americana era destinata ai mercati britannici, mentre l’industria locale, salvo quella cantieristica, era ostacolata per timore che divenisse un possibile concorrente.
Un commercio clandestino, soprattutto con i Caraibi, stava fiorendo parallelamente.

Da un punto di vista politico, invece, le Colonie erano fortemente indipendenti, sia l'una con l'altra che nei confronti della Madrepatria. Ogni colonia aveva un governatore inglese ma anche un parlamento locale che legiferava in assoluta autonomia. Nessuna tassa era dovuta all'Inghilterra, questo in accordo con la Bill of Rights del 1689 che assicurava che solo chi avesse rappresentanti in parlamento era tenuto a pagare le tasse e le colonie, appunto, non ne avevano.

2. Le cause della guerra

Alla fine della guerra dei Sette anni contro la Francia (1756-1763), la Gran Bretagna, risultò essere la maggiore potenza e dominatrice assoluta sui mari, ma nonostante ciò la corona inglese si ritrovò a dover sostenere enormi spese di guerra e la responsabilità di amministrare e difendere i nuovi territori acquisiti in Nord America.
Allo scopo di far contribuire alle spese dell’impero anche i coloni, il Parlamento inglese, nel marzo del 1765 impose una tassa di bollo su tutti i documenti legali, i contratti, le licenze, anche giornali, opuscoli, carte da gioco ecc., stampati in terra americana.
L’imposta provocò una forte opposizione tra i coloni. Normalmente, infatti, erano le assemblee locali ad emanare leggi fiscali e di organizzazione della sicurezza interna; tale legge venne quindi percepita dai coloni come un tentativo di limitare i loro piani di autogoverno (oltre che una palese contravvenzione della Bill of Rights).

Nell’ottobre del 1765, i delegati di nove colonie si riunirono a New York per far conoscere alla madrepatria le proprie lamentele. In effetti, nel marzo successivo, il Parlamento abolì la tassa ma ciò non fu determinato dalle obiezioni dei coloni sull’istituzionalità della tassa, bensì dalle pressioni dei mercanti inglesi, fortemente danneggiati dalla protesta dei coloni.
La cancellazione dell’imposta lasciò irrisolti i problemi finanziari della corona britannica che ben presto impose nuove tasse sull’importazione di vetro, piombo, vernici, carta e tè, inviando nel contempo delle truppe allo scopo di imporre ai coloni l’osservanza della legge. Ancora una volta, la reazione fu pronta e vigorosa.
Manifestazioni di protesta accolsero ovunque l’arrivo degli ufficiali doganali e i commercianti adottarono nuovamente la politica di non importazione delle merci britanniche. Le tensioni esplosero il 21 giugno 1768, quando migliaia di manifestanti bostoniani minacciarono i commissari delle dogane obbligandoli alla fuga; immediatamente Londra inviò quattro reggimenti di truppe per permettere il rientro dei commissari e dando inizio all’occupazione militare della città. La lunga serie di scontri che ne seguirono culminò nel marzo del 1770 nel cosiddetto massacro di Boston, quando i soldati britannici, provocati dalla folla, aprirono il fuoco uccidendo cinque coloni; si scatenò allora una nuova violenta ondata di protesta.
Piegata ancora una volta dal boicottaggio economico, Londra dispose la revoca della tassa. Ma tre anni dopo il Parlamento dispose il monopolio della vendita di tè in America. Tale provvedimento risollevò immediatamente il conflitto tra i coloni e la madrepatria tanto che a Boston il carico delle navi che trasportavano il tè venne addirittura rovesciato in mare. Per tutta risposta, nel 1774 il Parlamento inglese approvò alcune misure repressive, intese a riaffermare l’autorità regia: il porto di Boston fu chiuso e venne rafforzato il regime di occupazione militare della città, riducendo anche le leggi di autogoverno dei coloni.
Il 16 dicembre 1773, per protestare contro l’imposizione da parte della Corona britannica di una tassa sull’importazione del tè, alcuni coloni americani, guidati da Samuel Adams, salirono a bordo di navi britanniche e gettarono in mare i carichi di tè.


3. Il conflitto

I rappresentanti di tutte le colonie si riunirono a Philadelphia nel settembre del 1774 nel primo Congresso continentale per stabilire una linea d’azione comune e definire i diritti delle terre d’America e i limiti dell’autorità del Parlamento di Londra.

In una Dichiarazione dei diritti i delegati ribadirono il rifiuto di pagare tasse e decisero la cessazione di ogni commercio con la Gran Bretagna fino al ritiro delle truppe inglesi. Nel frattempo nel Massachusetts le milizie cittadine andavano organizzandosi in un Comitato di salute pubblica clandestino. Il governatore inglese inviò un reggimento a requisire un deposito d’armi nei pressi di Boston ma i coloni intercettarono le truppe inglesi che furono costrette a ritirarsi a Boston che fu posta sotto assedio dai ribelli.

Questi sviluppi determinarono, da parte dei coloni la costituzione di un esercito che venne posto sotto il comando di George Washington.
Tuttavia, tra i delegati era ancora prevalente una volontà di riconciliazione con la Gran Bretagna ed infatti essi riaffermarono la lealtà al Re, chiedendogli però di ritirare le truppe.
Intanto gli inglesi asserragliati a Boston, ricevuti rinforzi via mare, avevano conseguito una netta vittoria sugli americani che non servì tuttavia a rompere l’assedio della città.
Le notizie sulla battaglia e sulle richieste del Congresso raggiunsero Londra contemporaneamente. Senza prendere in nessuna considerazione le richieste dei coloni il Re, Giorgio II dichiarò guerra ai ribelli.
In risposta alle decisioni inglesi il Congresso continentale emanò la Dichiarazione d’indipendenza (4 luglio 1776), con la quale le colonie si costituivano in stati liberi e indipendenti, impegnandosi a respingere l’invasione di quella che veniva ormai considerata una potenza straniera.

La Dichiarazione di Indipendenza, scritta da Thomas Jefferson (che poi sarà il terzo presidente degli Stati Uniti), si appella ai principi del Giusnaturalismo di stampo illuminista per ribadire che la proprietà privata è sacra e inviolabile (perché condizione necessaria per la ricerca della felicità, che è un diritto di natura) e nessun governo poteva quindi imporre tasse senza il consenso di chi doveva pagarle (e quindi senza rappresentanti in quel parlamento che le emanava). Jefferson si dilunga sul fatto che un popolo, prima di ribellarsi al suo Stato, valuta attentamente le conseguenze ma che di fronte a una palese violazione dei diritti fondamentali un popolo ha non solo il diritto ma il dovere di ribellarsi (come tra l'altro scritto anche nella Bill of Rights inglese del 1689).

Tra il 1779 e il 1780 anche Spagna, Olanda e Francia dichiararono guerra alla Gran Bretagna. Tutti e tre questi paesi avevano forti interessi per aiutare le colonie, in primis per indebolire la potente Inghilterra e poi anche nella speranza di poter liberalizzare i commerci delle colonie anche verso i loro paesi. La Francia aveva anche un motivo in più: Luigi XVI in Francia era a capo di una monarchia assoluta fortemente osteggiata dagli illuministi locali e l'appoggio del re a una rivoluzione illuminista poteva essere un buono modo per distrarre le loro attenzioni.

In territorio americano le operazioni proseguirono con alterne vicende fino all’assedio di Yorktown, dove si erano rifugiare le truppe inglesi.
Yorktow segnò la fine delle ostilità, anche se i negoziati di pace si trascinarono fino al 3 settembre del 1783, quando la Gran Bretagna firmò il trattato di Parigi, con il quale riconobbe l’indipendenza delle ex colonie; i confini degli Stati Uniti d’America vennero stabiliti a ovest con il Mississippi, a nord con il Canada, a sud con la Florida.

4. Nascita degli USA

Negli anni successivi al conflitto tra le ex colonie nasce un dibattito su quale forma di governo dotarsi per il futuro. Le opzioni furono quattro:

  1. Stato unitario
  2. Indipendenza di ogni colonia
  3. Confederazione
  4. Federazione

Le prime due opzioni furono immediatamente scartate.

Lo Stato Unitario era impraticabile perché le colonie erano molto diverse tra loro, sia in termini di interessi economici sia in termini politici essendo ognuna di loro dotate di un parlamento e quindi di leggi anche profondamente diverse da uno Stato all'altro. Ogni singolo Stato non poteva rinunciare alla propria autonomia.

Ma anche la seconda ipotesi era difficile da attuare poiché i singoli Stati sapevano di essere molto deboli, separatamente, e quindi facile preda degli appetiti di tutte le potenze coloniali europee (la stessa Inghilterra, ma anche i paesi che l'avevano sconfitta, ovvero Olanda, Spagna e Francia).

l dibattito si concentro dunque sulla confederazione e la federazione.

Entrambe le opzioni prevedevano il mantenimento di una forte autonomia legislativa di ogni singolo Stato (cioè il mantenimento di un potere esecutivo e legislativo locale) ma entrambe prevedevano anche la costituzione di un potere centrale che, almeno su alcune materie (come l'economia e la politica estera, quindi anche l'esercito), avesse il controllo. La differenza tra le due opzioni è che nella federazione il potere centrale ha l'esclusiva su queste materie (cioè i singoli stati non possono, ad esempio in politica estera, siglare trattati separati o comunque agire autonomamente rispetto al potere centrale), nella confederazione invece sì. Nella confederazione i singoli Stati possono uscire quando vogliono, nella federazione no.

Sarà scelta l'opzione federativa che sarà formalizzata nella Costituzione del 1787 e che prevede solo 7 articoli. In questa Costituzione, estremamente liberale, i poteri centrali sono tre:

  • Presidente - potere esecutivo
  • Congresso - potere legislativo
  • Corte Suprema - potere giudiziario

E le materie di cui questi poteri possono discutere sono politica estera, esercito, economia.