La Destra Storica al governo
Dal governo Ricasoli alla Questione romana.
Sito: | Meta-Apprendisti |
Corso: | Liceo Italiano IMI di Istanbul (classi quarte) |
Libro: | La Destra Storica al governo |
Stampato da: | Utente ospite |
Data: | giovedì, 30 gennaio 2025, 06:04 |
1. Destra e Sinistra storica a confronto
Prima di iniziare definiamo la Destra e la Sinistra storica.
Entrambi gli schieramenti sono di ispirazione liberale.
Non sono partiti ma solo schieramenti di politici che hanno visioni dissimili del futuro assetto dell'Italia da poco nata.
La destra storica vede tra i suoi esponenti eredi di Cavour: economicamente liberisti e quindi sostenitori di una economia agricola. Appartengono soprattutto all'aristocrazia terriera.
La sinistra invece ha tra i suoi sostenitori protezionisti e quindi sostenitori di una politica economica a sostegno della nascente industria. Appartengono soprattutto alla borghesia industriale.
La legge elettorale del tempo era molto restrittiva e i rappresentanti in parlamento (cioè solo alla Camera, perché il Senato era nominato dal Re) erano eletti sono dai cittadini maschi, maggiori di 25 anni, non analfabeti e che potessero pagare almeno 40 lire di tasse annue, ovvero solo 400.000 uomini, circa 2% della popolazione.
2. La Destra storica al governo
Gli esponenti appartenente alla Destra Storica governano dal 1861 al 1876
Si considerano eredi di Cavour e hanno avuto un ruolo protagonista nella formazione dell'Italia anche per il futuro.
Nel 1861 viene nominato capo del governo (la nomina la faceva il Re), il barone fiorentino Ricasoli (ma ricordiamo che la capitale era ancora a Torino). Ricasoli si pone il problema se dare allo Stato un assetto centrato o decentrato. Viene scelto il primo e l'Italia viene divisa in province, ognuna controllata da un prefetto (di nomina governativa) e comuni governati da sindaci (sempre nominati dal governo). Questo fenomeno si chiamerà Piemontesismo: la costituzione e le leggi piemontesi verranno applicate completamente su tutta l'Italia, senza tenere conto delle differenze dei paesi appena conquistati.
L'unificazione italiana per molti verrà vista come una conquista e anche il Re Vittorio Emanuele II manterrà il suo nome, a indicare questa continuazione, e non lo cambierà in Vittorio Emanuele I, come avrebbe dovuto, in quanto è Re di un nuovo regno.
I problemi per i territori conquistati, a Sud, saranno molto gravi:
- pesanti tasse
- introduzione del servizio obbligatorio militare e obbligo scolastico
- nessun investimento
Molte delle speranze sociali che avevano sostenuto la spedizione di Garibaldi vengono deluse. In molte zone del sud, ma soprattutto in Campania (dove più forti erano i sostenitori dei Borbone) si registra una rivolta sociale molto forte, quella dei briganti. I briganti erano composti da una larghissima fetta della società: ex garibaldini, ex soldati borbonici, famiglie intere con figli. I Briganti vedono il nuovo Stato come occupante e nemico e la loro rivolta durerà dal 1961 al 1965 creando una forte guerriglia in tutto il sud. La rivolta su repressa violentemente dall'esercito italiano con la legge Pica che permetteva di fucilare chiunque fosse trovato in possesso di armi. La repressione non tenne conto delle cause della rivolta e contribuì alla diffusione, nel sud Italia, di mafia e camorra.
A causa della guerra e dei mancati investimenti l'economia del Sud si trova ad essere fortemente arretrata rispetto al Nord: povertà, mortalità, redditi bassi, mancanza di infrastrutture. Per riattivarla si usò la ricetta del libero scambio (ovvero del Liberismo): no dogane interne, dazi doganali molto bassi. Obiettivo era il pareggio del bilancio. Questo obiettivo fu affidato a Quintino Sella il quale decise di raggiungerlo con due attività:
- vendita delle terre della Chiesa nei territori conquistati.
- introduzione di molte tasse indirette come la odiata Tassa sul macinato (1868)
La prima attività aumentò il latifondo invece di redistribuire la terra ai contadini (altra promessa di Garibaldi non mantenuta), in quanto il Governo, avendo bisogno di soldi, vendette le terre all'asta e ovviamente le poterono ricomprare soltanto i più ricchi.
La seconda scatenò altre rivolte sociali violente che provocarono l'intervento dell'esercito guidato dal generale Cadorna con 257 morti.
Il 16 marzo 1876 il capo del governo Minghetti poté annunciare il raggiungimento del Pareggio del Bilancio: il paese era però spremuto e c'era adesso bisogno di ampie riforme che la destra storica non fu in grado di attuare (a causa del suo liberismo) e il 18 marzo il governo cade passando la mano alla Sinistra Storica.
3. La questione romana
Durante gli anni della Destra al governo si affronta la cosiddetta Questione romana, ovvero l'annessione di Roma al Regno, considerata da tutti e anche da Cavour, la capitale naturale dell'Italia e ancora sotto in controllo dello Stato della Chiesa.
Annettere Roma però non era facile perché Roma era direttamente difesa dai francesi per volere di Napoleone III, fin dal 1849.
Nel 1862 il primo ministro Rattazzi decide di appoggiare una spedizione di Garibaldi contro Roma che partì dalla Calabria reclutando volontari ma a seguito delle proteste di Napoleone fu poi costretto a fermarlo con l'esercito in Aspromonte (in Calabria) dove Garibaldi fu anche ferito.
Nel 1864 il nuovo primo ministro Minghetti scelse la via diplomatica e stipulò con Napoleone le Convenzioni di Settembre: se la Francia ritira le sue truppe in difesa di Roma, l'Italia rinuncia a Roma come capitale e sceglie come nuova capitale, al posto di Torino, Firenze (che sarà capitale dal 1865 al 1871).
Nel 1866 il governo italiano stipula una alleanza con il cancelliere tedesco Bismarck che porterà alla Terza Guerra di Indipendenza contro l'Austria e che permetterà all'Italia di annettere il Veneto (Venezia) ma NON Trento (nonostante questa fosse stata liberata dalle truppe volontarie "I cacciatori delle Alpi" guidate da Garibaldi) né Friuli (Trieste) con la Pace di Vienna.
Nel 1870, approfittando della sconfitta a Sedan dell'esercito francese contro i tedeschi di Bismarck durante la guerra Franco-Prussiana, l'esercito italiano irrompe a Roma (20 settembre - Breccia di Porta Pia) e il 2 ottobre, con un plebiscito, annettono Roma all'Italia che poi diventerà nel luglio 1871 la nuova Capitale.
Il Papa, Pio IX, ovviamente non accetta l'annessione e scomunica il Regno d'Italia e con la bolla Non Expedit, ammonisce tutti i cattolici a non riconoscere lo Stato Italiano.