Il dopoguerra italiano e l'ascesa del Fascismo
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Corso: | Liceo Italiano IMI di Istanbul (classi quarte) |
Libro: | Il dopoguerra italiano e l'ascesa del Fascismo |
Stampato da: | Utente ospite |
Data: | sabato, 23 novembre 2024, 09:14 |
Sommario
- 1. La crisi del dopoguerra
- 2. Il biennio rosso (1919-1920)
- 3. Il biennio nero (1921-22)
- 4. Il primo governo Mussolini, l’assassinio di Giacomo Matteotti e le leggi fascistissime
- 5. La realizzazione dello Stato totalitario
- 6. Il Concordato con la Chiesa Cattolica
- 7. La propaganda
- 8. L'antifascismo in esilio
- 9. La guerra d'Etiopia e l'avvicinamento alla Germania di Hitler
1. La crisi del dopoguerra
Per l’Italia il dopoguerra fu caratterizzato da un diffuso senso di delusione per gli esiti del conflitto. Pur rientrando tra le nazioni vincitrici, l’Italia non vide mantenute tutte le promesse, in termini di annessioni territoriali, del Patto di Londra e in particolare non ottenne Fiume, la Dalmazia e i territori del Dodecanneso, rivendicati dai nazionalisti e dagli interventisti.
Si diffuse pertanto quel sentimento della vittoria mutilata che accese gli animi e divise gli italiani tra dannunziani e caporettisti, i primi accesi patrioti, i secondi scialbi rinunciatari.
Il poeta D'Annunzio tentò con una spedizione di occupare Fiume nel settembre del 1919 ma questa occupazione si esaurì alla fine del 1920 con l’abbandono a seguito del Trattato di Rapallo, che affidava la città istriana al controllo internazionale fino al 1924, anno in cui sarebbe passata sotto il governo italiano.
Ma oltre alla questione nazionale, nell’immediato dopoguerra tornò a divampare la questione sociale, poiché le conseguenze negative del conflitto ricaddero in prevalenza sui ceti proletari e piccolo borghesi. In particolare vi fu il problema del reinserimento dei combattenti, reso difficile dall’esigenza di riconvertire l’industria alla produzione civile, quello delle terre incolte e della promessa non mantenuta di una riforma agraria che finalmente distribuisse la terra ai contadini.
La piccola borghesia risentì maggiormente dell’inflazione e della crisi di bilancio dello stato, mentre la grande borghesia si avvantaggiò grazie alle commesse statali che durante la guerra avevano drenato ingenti risorse finanziarie a favore delle grandi industrie.
2. Il biennio rosso (1919-1920)
Nel 1919 le elezioni politiche, tenutesi con il nuovo sistema elettorale proporzionale, videro l’affermazione dei grandi partiti di massa, in particolare il Partito socialista e il Partito Popolare, fondato lo stesso anno dal prete cattolico don Luigi Sturzo. Era il segno del grande malessere sociale e della forza delle rivendicazioni che esplosero nei mesi successivi con l’occupazione delle terre e l’ occupazione delle fabbriche. Queste manifestazioni furono più marcate del nord Italia, centro dello sviluppo industriale nazionale e dell’organizzazione sindacale operaia e contadina. Nelle terre della pianura padana i contadini rivendicavano l’imponibile di manodopera contro lo sfruttamento padronale, mentre nelle fabbriche del triangolo industriale si tentò di organizzare dei Consigli di fabbrica sul modello dei soviet russi. Quest’ultimo episodio, nell’estate del 1920, vide su fronti contrapposti due importanti figure della storia politica nazionale: Antonio Gramsci, leader di Ordine Nuovo fu l’organizzatore dell’occupazione operaia a Torino; Giovanni Giolitti tornato al governo a fine primavera dello stesso anno, mediò quest’ennesimo conflitto che si concluse col fallimento dell’ipotesi rivoluzionaria.
Nel gennaio successivo (1921) al Congresso di Livorno il partito socialista subirà una decisiva scissione. Nascerà in quella sede il Partito Comunista Italiano, guidato da Amedeo Bordiga e Antonio Gramsci, che ispirerà la sua azione alle direttive della Terza Internazionale Comunista.
3. Il biennio nero (1921-22)
La scissione di Livorno era un chiaro segno dell’indebolimento delle forze socialiste e del riflusso dell’ondata rivoluzionaria del biennio rosso. Iniziava la reazione, il biennio nero.
Benito Mussolini aveva fondato il 23 Marzo 1919 a Milano, in piazza Sansepolcro, i Fasci di combattimento, un movimento politico composto da arditi, trinceristi, dannunziani e futuristi, il cui programma era marcatamente anti clericale e connotato da forti rivendicazioni sociali.
Durante il biennio rosso il movimento aveva iniziato a darsi una organizzazione paramilitare, con la costituzione di una milizia armata e aveva messo al centro del suo programma l’esigenza di garantire l’ordine nel paese. Alle elezioni del 1919 tuttavia non aveva ottenuto seggi.
Nel 1921 Mussolini cambiò politica e si riavvicinò alla Chiesa, alla monarchia e all’esercito, stringendo un patto con i possidenti agrari e gli industriali del nord, connotandola con un marcato anticomunismo e trovando anche nel governo Giolitti una certa accondiscendenza opportunista.
Il vecchio statista credeva infatti di poter controllare Mussolini e sfruttare le sue milizie per contrastare i movimenti rivendicativi delle forze socialiste e sindacali.
Alle elezioni del maggio 1921 Mussolini si presentò con il blocco nazionale dei liberali, riuscendo stavolta a far eleggere 35 deputati. Nei mesi successivi fondò il Partito Nazionale Fascista, mentre proseguirono per tutto il biennio le spedizioni punitive delle squadre fasciste, indirizzate contro le sedi dei partiti, dei sindacati e dei giornali socialisti e comunisti.
La situazione politica era tuttavia molto instabile e i partiti al governo (liberali e popolari) con i governi Bonomi e Facta non riuscirono a normalizzare la vita del paese.
Nell’autunno del 1922 Mussolini tentò il colpo di mano, organizzando per il 28 e il 29 ottobre una manifestazione delle sue milizie a Roma. Quella che è passata alla storia come la Marcia su Roma non venne contrastata dall’esercito per espressa volontà del re, nonostante la richiesta di proclamazione dello stato d’assedio del presidente Facta, che per questo rassegnò le dimissioni.
Lo stesso sovrano chiamò il giorno dopo a Roma Benito Mussolini, per offrirgli l’incarico di formare il nuovo governo, che fu un governo di coalizione, con l’appoggio di liberali e popolari.
4. Il primo governo Mussolini, l’assassinio di Giacomo Matteotti e le leggi fascistissime
Nei primi anni di governo Mussolini cercò di realizzare il programma di normalizzazione del paese, assorbendo le camicie nere nella Milizia Volontaria per la sicurezza nazionale.
In politica economica fu liberale e contrastò l’inflazione con una stretta sui salari e una politica deflazionistica.
Ma più importante fu l’azione progressiva di svuotamento delle funzioni democratiche del Parlamento e l’istituzione del Gran Consiglio del Fascismo, vero organo di governo destinato a far valere in Parlamento le esigenze del partito.
In questa prima esperienza di governo si ebbe anche la riforma della scuola ad opera del ministro e ideologo del partito Giovanni Gentile, il quale realizzò un impianto formativo fondato sul primato del sapere umanistico e sulla subordinazione di quello tecnico e scientifico.
Infine fece rapidamente approvare una nuova legge elettorale, la Legge Acerbo dal nome del suo estensore, che prevedeva un largo premio di maggioranza alla prima coalizione di partiti.
Si preparava così a fare il pieno di consensi nelle elezioni che si tennero nella primavera del 1924 in un clima di violenza e intimidazione.
L’irregolarità del voto fu denunziata nelle prime sedute parlamentari dal deputato socialista Giacomo Matteotti, che per tutta risposta fu fatto sequestrare e assassinare dai miliziani per ordine dello stesso Mussolini. La reazione del paese fu forte sul piano emotivo ma inefficace su quello politico. La scelta dei principali partiti d’opposizione, con l’eccezione del partito comunista, di abbandonare il Parlamento per ritirarsi sull’Aventino (come era accaduto nell’antichità al Senato romano) fece il gioco di Mussolini, il quale sospese per alcuni mesi i lavori parlamentari e si ripresentò alla Camera, superata l’emozione del fatto, il 3 Gennaio, dove in un discorso violento assunse su di sé tutte le responsabilità e dichiarò l’intento di porre fine ai tentativi di opposizione.
Nei mesi successivi, tra il 1925 e il 1926, Mussolini promulgò una serie di leggi, le Leggi fascistissime che distruggevano ogni forma di libertà politica. Subì alcuni attentati e fece di conseguenza reintrodurre la pena di morte per il reato di attentato alla sua vita.
- Dichiarò sciolti tutti i partiti ad eccezione del suo,
- istituì una polizia segreta di stato (OVRA) e il Tribunale speciale per la difesa dello stato
- istituì per i dissidenti politici il confino di polizia, una misura repressiva che stabiliva l’allontanamento dalla residenza e la rigida sorveglianza di chiunque si opponesse al regime
- con il Concordato con la Chiesa cattolica e con l’approvazione della Carta del Lavoro (1927) il fascismo realizzò un controllo pieno e totale su ogni potere pubblico e sulla società.
5. La realizzazione dello Stato totalitario
Al consolidamento del regime seguì la costruzione dello stato fascista, a partire dallo svuotamento delle vecchie istituzioni dello stato liberale. Al posto del Parlamento gradualmente acquisirono le maggiori funzioni politiche il Gran Consiglio del Fascismo e (dal 1939) la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, diretta emanazione del sistema corporativo derivato dalla Carta del Lavoro.
Mutò anche la politica economica, soprattutto a seguito della crisi del 1929: la gestione liberista venne abbandonata e sostituita da una politica economica fortemente caratterizzata dall'interventismo statale. La politica finanziaria deflazionistica si basava su una stretta creditizia e salariale (riduzione del credito alle imprese e dei salari) e sulprotezionismo (barriere doganali, dazi, limitazione delle importazioni) che si trasformò in autarchia dopo le sanzioni dell'ONU a seguito dell'aggressione all'Etiopia nel 1936.
L'interventismo e il dirigismo pubblico in economia si concretizzò negli anni '30 con la creazione di industrie a partecipazione statale, quali l'IRI (Istituto per la ristrutturazione industriale) e l'IMI (Istituto Mobiliare italiano).
In questi anni il regime realizzò molti interventi di bonifica (Agro Pontino, Tavoliere e Basso Volturno) e fondò molti enti industriali per lo sviluppo, tra i quali AGIP e SNAM.
Il meridione restò tuttavia in una condizione di profonda arretratezza, mentre la crisi globale spinse Mussolini a stringere i rapporti con la Germania di Hitler, a causa soprattutto della scarsità di risorse energetiche disponibili.
6. Il Concordato con la Chiesa Cattolica
Sul fronte delle alleanze Mussolini puntò in questi anni a risolvere l'annosa contesa con la Chiesa, e vi riuscì nel 1929 con la firma dei PATTI LATERANENSI, composti da un TRATTATO, da una CONVENZIONE FINANZIARIA e dal CONCORDATO.
Con il Trattato per la prima volta la Chiesa riconosceva lo Stato italiano, dal quale otteneva in cambio ampie garanzie di autonomia e indipendenza; con la Convenzione Finanziaria otteneva un ampio risarcimento per le perdite territoriali subite nel 1870, mentre con il Concordato la religione cattolica diveniva insegnamento obbligatorio nelle scuole e il matrimonio religioso aveva valore di atto civile.
7. La propaganda
Dopo il 1929, anno in cui l'adesione del popolo al regime fu ratificata coin un plebiscito, la propaganda fascista divenne sempre più pervasiva e finalizzata a realizzare l'educazione del perfetto fascista.
L'ideale dell'uomo nuovo corrispondeva alla figura del combattente, ispirato al modello dell'antico romano e alla figura del DUCE, lo stesso Mussolini, in quanto simbolo dell'incorruttibilità morale e della potenza dello stato. All'opera di capillare propaganda contribuirono in quegli anni l'EIAR (Ente i taliano audizioni, radiofoniche), l'Istituto luce (Cinegiornali) L'OPERA NAZIONALE BALILLA (educazione militare dei fanciulli) ed altre organizzazioni parafasciste tutte coordinate dal MINCULPOP (Ministero della Cultura Popolare).
Il motto del perfetto fascista era: credere, obbedire, combattere.
8. L'antifascismo in esilio
Dopo il delitto Matteotti e le leggi fascistissime per gli oppositori del regime si azzerarono gli spazi d'azione; attraverso le sentenze del Tribunale speciale molti furono inviati al confino, altri condannati al carcere o costretti all'esilio. I più sfortunati finirono anzitempo i loro giorni come conseguenza delle brutali repressioni fasciste; tra questi i liberali Piero Gobetti, morto a soli 25 anni per i postumi di una brutale aggressione squadrista, e i fratelli Carlo e Nello Rosselli, fondatori di uno dei più importanti raggruppamenti antifascisti all'estero, Giustizia e Libertà, che vennero assassinati da sicari fascisti in Francia nel 1937 (da questo episodio sono tratti il romanzo di A. Moravia e il film omonimo di B. Bertolucci Il Conformista).
In Italia rimasero vive le voci degli antifascisti liberali (Benedetto Croce) e dei comunisti, che preferirono l'azione clandestina al raggruppamento antifascista in esilio. Questa scelta costò l'arresto e la morte in carcere del loro principale leader, Antonio Gramsci.
Infine i cattolici scontarono l'esilio del fondatore del partito Popolare, don Luigi Sturzo a Londra, e l'emarginazione di altri rappresentanti, che però non impedirono ad Alcide De Gasperi di lavorare alla riorganizzazione del partito, che sarebbe rinato nell'immediato dopoguerra con il nome di Democrazia Cristiana.
9. La guerra d'Etiopia e l'avvicinamento alla Germania di Hitler
Per riaffermare il mito imperiale e riscattare la sconfitta bruciante di Adua (1896), Mussolini lanciò sul finire del 1935 la spedizione militare in Etiopia, che si concluse nel maggio del 1936 con la proclamazione dell'Impero italiano.
Le reazioni internazionali a quest'atto di brutale aggressione non si fecero attendere e la Società delle Nazioni votò una serie di sanzioni economiche e politiche contro l'Italia. A queste Mussolini rispose con l'autarchia e con la stipula dell'alleanza con Hitler (Asse Roma-Berlino, ottobre 1936). Ma le conseguenze della guerra d'Etiopia furono anche più gravi sul piano delle politiche razziali adottate da Mussolini per contrastare la tendenza dei coloni italiani in Etiopia a contrarre matrimoni con le donne del posto. Si voleva infatti impedire la contaminazione razziale, e si diede fiato al mito razziale che considerava gli italiani di discendenza ariana, con il fine di avvicinare ulteriormente l'Italia alla Germania di Hitler. Il fascismo adotto allora politiche razziali dirette contro gli ebrei con la pubblicazione del Manifesto della Razza (luglio 1938) e della Carta della Razza (ottobre 1938) a cui seguirono i primi provvedimenti antiebraici (Leggi razziali) , come la cacciata dalle scuole, l'espulsione dalle forze armate, dalle attività commerciali, dagli enti pubblici e privati, fino al divieto dei matrimoni misti.
Infine, con la scelta di siglare, nel 1939, un'alleanza militare con la Germania (Patto d'Acciaio), Mussolini legava sciaguratamente le sorti del regime e del paese a quelle della Germania hitleriana, al fianco della quale sarebbe entrato in guerra il 10 giugno 1940.