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La Teoria delle Idee

Preambolo della dottrina politica, l'imponente dottrina delle Idee di Platone.

Sito: Meta-Apprendisti
Corso: Apprendisti Filosofi
Libro: La Teoria delle Idee
Stampato da: Utente ospite
Data: giovedì, 21 novembre 2024, 13:18

1. La teoria delle Idee

La genesi di questa teoria si deve ricercare nell'influenza esercitata su Platone dai filosofi precedenti: nel campo della conoscenza sensibile Platone accetta il relativismo di Protagora assieme alla teoria del pànta réi (tutto scorre) di Eraclito e ancora il fenomenismo degli ionici. Da queste premesse Platone deduce che la conoscenza sensibile porta solo a risultati provvisori, validi unicamente per le circostanze particolari in cui sono stati ottenuti. Con essi non è possibile raggiungere una conoscenza unica, perché su ogni oggetto si possono fare discorsi diversi parimenti accettabili. Protagora pretendeva di poter fare un discorso corretto pur nella molteplicità dei discorsi; Socrate esortava i giovani ad approfondire l'indagine dei valori morali per giungere a un discorso più preciso; Platone vuol togliere ogni carattere provvisorio alla conoscenza e a questo scopo scende nella più profonda interiorità dell'uomo affermando che la certezza assoluta è frutto solo di conoscenza razionale e, dove Socrate aveva scoperto l'universalità dei valori morali in quanto comuni e validi per tutti, egli estende tale validità anche al campo della conoscenza. 

Ritorna qui, riprodotta da Platone, la contrapposizione parmenidea tra razionalità e sensibilità, tra percezioni sensitive diverse da individuo a individuo e diverse nello stesso individuo e le idee, forme reali e immutabili delle cose. A differenza di Parmenide però Platone non concepisce l'essere reale come unico, perché formato da più idee. Il concetto è illustrato dal mito della caverna: l'uomo è come un prigioniero incatenato in una caverna, con le spalle rivolte all'apertura e la faccia alla parete. Fuori brilla una gran luce, nella quale passano gli esseri reali. La luce filtrando attraverso l'apertura ne proietta le ombre sulla parete e l'uomo crede di vedere il mondo reale, mentre in realtà ne vede solo l'ombra. Per arrivare alla verità effettiva l'uomo deve rompere le sue catene e uscire dalla caverna alla luce. Fuori della metafora – dice Platone – l'uomo è dotato di sensi, che lo legano al mondo delle apparenze, e di ragione, che gli fa conseguire invece la vera realtà, facendolo pervenire alla scienza, che è conoscenza assoluta e universale. 

Ma come rompere le catene che ci legano al mondo sensibile? Platone si richiama a questo punto al metodo maieutico di Socrate, ma dove il maestro l'aveva usato per risvegliare la voce della coscienza del suo interlocutore e fargli scoprire le verità della vita morale, Platone mira con esso a far scoprire al discepolo le verità razionali; per spiegarsi introduce un nuovo esempio: viene dato un problema di geometria da risolvere a uno schiavo digiuno di ogni cognizione in quella materia: dato un quadrato, deve trovarne un altro di area doppia. Il giovane tenta dapprima la soluzione più semplicistica: raddoppia i lati del quadrato, ma si accorge subito del suo errore e dopo vari altri tentativi traccia la diagonale del quadrato e, assumendola come lato, costruisce il quadrato doppio del primo (Menone). Il sistema maieutico – conclude allora Platone – funziona anche fuori dell'ambito che gli aveva assegnato Socrate. In realtà proprio questo esempio dimostra che Platone ormai si muove sul terreno delle verità matematiche dei pitagorici. A indirizzarlo alla dottrina pitagorica era stato Archita di Taranto, illustre pensatore e matematico, e su questa strada Platone arriverà a una nuova “mens religiosa”.

2. La scienza dei numeri

La scienza dei numeri e delle figure è studiata da Platone per la sua “purezza concettuale”, che consente di fare considerazioni logiche molto rigorose su concetti nitidi e liberi da ogni riferimento all'empiria, aiutando l'uomo a realizzare il passaggio “da ciò che diviene a ciò che è”. Con tale sua concezione Platone offre ai filosofi posteriori l'illusione che la matematica possa attingere le entità assolute introducendo una divisione troppo netta fra matematica e tecnica; l'illusione graverà sullo svolgimento del pensiero filosofico per lunghissimo periodo e sarà superata solo in tempi moderni. È un tentativo di Platone di salvare con la matematica la sua “teoria delle idee” e giungere a cogliere l'essenza della realtà. A questa funzione della matematica Platone accomuna anche le altre scienze, ma ne esclude drasticamente la fisica, che egli considera un semplice studio dei fenomeni. Con pari intransigenza rifiuta l'apporto dei naturalisti greci, negando loro proprio lo spirito di ricerca, che invece sarà considerato il dato più positivo dai moderni. Al tentativo appassionatamente perseguitato dai naturalisti di spiegare lo svolgimento dei fenomeni con cause fisiche e meccaniche, Platone oppone una spiegazione matematico-finalistica della natura, che condurrebbe a trovare la motivazione dei fenomeni nella realtà assoluta. Ormai l'antagonismo fra Platone e Democrito è completo e la grande influenza esercitata da Platone sulla filosofia posteriore farà perdere per molto tempo la traccia del pensiero democriteo: essa infatti riapparirà solo nei sec. XVI e XVII. Sulla strada della fisica finalistica (Timeo) Platone avanza fino a formulare l'ipotesi dell'esistenza di numerose analogie tra “macrocosmo” e “microcosmo”, per cui l'ordine esistente nella natura è a essa antecedente e quindi per spiegare i fenomeni bisogna richiamarsi ai principi naturali.

3. Particolare e Universale

Le idee – afferma Platone – rappresentano l'assoluto e l'universale, gli oggetti della conoscenza sensibile il particolare e il contingente. Fra particolare e universale i rapporti sono due: di mimesi, in quanto il particolare imita l'idea e la prende a suo modello; di metessi, in quanto il particolare partecipa dell'essenza delle idee. Per il salto di qualità dal particolare all'universale bisogna percorrere i quattro gradi della conoscenza: la sensazione, basata sulle pure immagini dei sensi; l'opinione, che dà della conoscenza delle cose particolari giudizi variabili da individuo a individuo; la ragione, che offre una visione degli oggetti nei loro rapporti matematici; l'intelletto, che si colloca in diretto rapporto con le idee, attraverso la dialettica, definita da Platone “la vera scienza filosofica” in quanto sa cogliere gli oggetti nella loro realtà.



4. La reminiscenza

Quando l'uomo – teorizza Platone – arriva a una verità razionale, non acquista una nuova conoscenza, ma ricorda soltanto ciò che già aveva appreso e che aveva dimenticato. Per avanzare nella sua spiegazione Platone deve ammettere la preesistenza dell'anima: prima della vita presente, in cui è incatenato al sensibile, l'uomo è preesistito in un'altra vita, in cui la sua visione era intellettiva e percepiva immediatamente le idee. L'uomo passa poi attraverso diverse vite, ma la sua anima rimane sempre identica (prova, secondo Platone, della sua immortalità). Nei vari passaggi da un corpo all'altro, l'anima ha acquisito molte conoscenze, quindi non ci deve meravigliare che ricordi ciò che ha già conosciuto. La vera causa della sua immortalità consiste però nel fatto che essa partecipa della stessa natura delle idee e siccome queste sono immortali, immortale è pure l'anima: è la tesi sostenuta nel Fedone, dove Platone parte dal pitagorismo, ma lo trascende. Altri elementi religiosi ci offre Platone nel Fedro, paragonando l'anima razionale all'auriga, che guida una biga alata, tirata da due cavalli, l'uno pieno di generosi impeti (anima irascibile), l'altro portato solo ai piaceri più abbietti (anima concupiscibile). Il prepotente affermarsi dell'anima concupiscibile ha imprigionato l'anima nel corpo. Nel Timeo la creazione dell'anima razionale è invece collocata in un contesto cosmogonico a opera del demiurgo: questi offre all'anima la visione fugace del mondo delle idee e subito dopo le cala nei corpi, formati dalle due anime inferiori, irascibile e concupiscibile. Quest'ultima prevarrà tenendo incatenata l'anima razionale al corpo. Alla fine della Repubblica Platone fa raccontare a Er, morto in battaglia e risuscitato, la vita delle anime nell'oltretomba: le anime che hanno vissuto secondo ragione godono di uno stato originario di beatitudine; le altre devono trasmigrare di corpo in corpo scendendo sempre più in basso nella scala degli esseri. Su questa tematica religiosa s'inserisce l'“amor platonico”, che cerca nell'amante i segni della moralità più elevata, disdegnando quanto in essa è caduco e apparente. È questo l'insegnamento fondamentale di Platone, la sua dottrina morale.



5. L'autocritica

Giunto alla maturità del suo pensiero, Platone si accorge che le premesse da cui era partito non risolvevano alcune difficoltà fondamentali e si accinge a una coraggiosa revisione. 

Nelle opere giovanili aveva affermato che le idee sono molteplici, ma quale rapporto lega un'idea all'altra? Platone aveva affermato che esiste una “subordinazione” di tutte le altre idee a quella del Bene, in quanto questa rappresenta il fine ultimo dell'universo. È l'unica distinzione avanzata da Platone e la mancanza di altre metteva il suo sistema in grave difficoltà: infatti, se i rapporti fra le idee sono analoghi a quelli esistenti fra gli oggetti che a esse corrispondono, si può pensare che il mondo delle idee ricopre il modello degli oggetti sensibili e allora non sarebbe il mondo sensibile a copiare il mondo delle idee ma il contrario; se poi rigettiamo questa ipotesi, cadiamo nella concezione di un mondo delle idee che, rimanendo indistinte fra loro, vengono a identificarsi con l'essere unico. 

Nel Parmenide, nel Teeteto e nel Sofista Platone cerca di risolvere questa antinomia ricorrendo alla diàiresis (suddivisione del concetto in due, e ognuno di questi ancora in due fino a raggiungere quello che si deve definire) e a rapporti di tipo numerico. Con queste armi logiche Platone cerca di difendere la “positività del molteplice” contro il diffondersi nella sua stessa scuola della dottrina megarica dell'“essere unico”, e su questa strada giunge a sostenere come positiva la stessa idea di non-essere: se infatti un'idea si dice diversa da un'altra in quanto realizza ciò che in un'altra non esiste, dovremo ammettere che il non-essere esiste, perché il non-essere non significa “contrario all'essere”, ma solo “diverso”. Qui Platone tocca il punto centrale della sua autocritica: se infatti il non-essere è positivo, di tale positività sarà partecipe anche il mondo sensibile (definito all'inizio della sua ricerca pura e sola non-realtà) e la conoscenza sensibile, pur non essendo ancora conoscenza del reale, porta però in sé i germi della verità. La dialettica platonica a questo punto dilata le sue funzioni, rimanendo ancora sul campo del mondo delle idee, ma traducendosi nel contempo in metodo di ricerca ben più duttile con l'analisi e la sintesi e lo piega alle proprie esigenze di ordine metodologico e logico. Tanta audacia di autocritica metteva in crisi la sua costruzione precedente, ma Platone non s'impressiona delle conseguenze: da vero filosofo segnato dalla grandezza egli ha il coraggio di un continuo rinnovamento del suo pensiero e vi si infervora con la stessa forza creatrice del primo periodo giovanile. Platone non portò a termine questo processo di autocritica; altri dopo di lui lo portarono a compimento. Ultima fatica del filosofo fu l'elaborazione della teoria dei “numeri ideali”, per la quale riconduce a rapporti matematici fissi gli schemi strutturali del reale. La teoria rimase allo stadio di tradizione orale, ma ebbe molti esaltatori che la consideravano capace di spiegare le essenze e i rapporti fra le cose meglio della teoria delle idee; particolare valore speculativo, etico e mistico acquistano in essa i “numeri ideali” e la triade “limite, illimitato, medietà”. Enorme fu l'influenza esercitata da Platone sui posteri (platonismo).