Le scienze pratiche
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Libro: | Le scienze pratiche |
Stampato da: | Utente ospite |
Data: | giovedì, 21 novembre 2024, 11:44 |
1. Introduzione
Le scienze pratiche hanno come oggetto l'uomo e come fine la felicità.
Le scienze pratiche sono due: etica e politica e si differenziano per il concetto di uomo di cui si occupano:
- L'etica si occupa dell'uomo come individuo
- la politica dell'uomo come cittadino.
Trattandosi di scienze pratiche il metodo non è dimostrativo e i principi su cui si basano non sono veri, ma soltanto probabili.
Le scienze pratiche hanno infatti a che fare con l'Agire e quindi con la determinazione della volontà (dell'anima sensitiva) e quindi si fondano sull'abitudine. Nel mondo pratico, infatti, la volontà si trova necessitato a operare, prendere decisioni, in assenza di informazioni (o comunque con informazioni non complete).
2. Etica
L'etica è la scienza pratica che ha come oggetto l'uomo come individuo e come fine la felicità, ovvero la sua conoscenza della natura umana e dell'agire per soddisfarla.
L'etica ha quindi come principi le virtù, definibili come norme di comportamento che permettano a chi le rispetta di soddisfare la propria natura.
Nelle scienze pratiche Aristotele si differenzia molto da Platone e già lo vediamo nella definizione di bene. Per Platone il Bene è uno solo ed è l'idea valore che "illumina" e dà senso a tutte le altre. Per Aristotele il bene è semplicemente il fine di ogni azione. Quasi sempre il bene non si trova nell'azione stessa ma è al di fuori di essa, cioè si agisce per raggiungere qualcosa che non si ha: si studia per avere un lavoro migliore; si va piano in autostrada per non farsi male...
Ma tutte le azioni con i rispettivi beni alla fine tendono ad unico bene, l'unico che ha come fine se stesso, il bene in sé, cioè la felicità. Agire in vista della felicità significa agire per agire, l'agire stesso è la felicità.
Una critica di Aristotele a Platone era proprio la trascendenza del bene che lo rendeva di fatto impraticabile. Per Aristotele la felicità è invece una pratica reale. Si tratta di trovare quale è quell'agire che rende l'uomo felice. In questo Aristotele è molto più simile a Socrate.
Quale è questa pratica, fine a se stessa, che rende l'uomo felice? Quella che realizza la natura specifica dell'uomo, secondo la psicologia, ovvero la sua anima razionale: l'uomo è felice quando conosce!
Per realizzare questo fine due sono le tipologie di virtù necessarie:
- ETICHE: le virtù che controllano la parte sensitiva dell'anima.
- DIANOETICHE: le virtù specifiche dell'anima razionale
Virtù etiche
Sono le virtù che permettono all'anima razionale di controllare l'anima sensitiva, in particolare la sua volontà. In Aristotele ricordiamoci che la volontà è una componente della sensibilità, cioè della parte "animale" dell'uomo. Da ciò deriva che non è detto che sapere cosa sia il bene comporti il realizzarlo. Le virtù etiche servono a questo: a tenere la sensibilità e le passioni conseguente a freno e allenare la volontà a seguire gli indirizzi della parte razionale.
Tutte le virtù etiche raccomandano l'applicazione di un principio, quello del giusto mezzo, quello che raccomanda, tra due estremi, di cercare sempre una mediazione.
Cosa significa, in pratica?
Ricordiamoci che ci troviamo tra le scienze pratiche, le scienze i cui principi sono probabili ma non necessariamente veri e i cui "risultati" sono le azioni (l'agire coerentemente ai principi adottati).
Nella vita pratica non possiamo avere un'idea chiara di quali potrebbero essere le conseguenze delle nostre azioni e allo stesso tempo non possiamo non agire (non possiamo non prendere decisioni ogni momento della nostra vita). Poiché lo scopo delle virtù etiche è solo quello di tenere a freno la volontà e le passioni, queste raccomandano di non sollecitare il corpo con decisioni estreme, azzardate, dagli esiti troppo incerti, insomma quelle decisioni che creerebbero passioni o che potrebbero essere il frutto di altrettante. Le virtù etiche raccomandano di vivere una "vita tranquilla", una vita che permetta all'anima razionale di dedicarsi alle virrtù dianoetiche, quelle che rendono l'anima sazia e felice.
Le virtù etiche sono molte e alcuni esempi possono essere:
- il coraggio, giusto mezzo tra viltà e temerarietà
- la temperanza, giusto mezzo tra intemperanza e insensibilità
- la magnanimità, giusto mezzo tra vanità e umiltà
- la mansuetudine, giusto mezzo tra irascibilità e indolenza
- la generosità, giusto mezzo tra avarizia e prodigalità
La virtù etiche che merita per un capitolo a parte è la Giustizia, dallo stesso Aristotele considerata la virtù etica più importante.
La giustizia è la virtù dell'individuo che si relazione gli altri individui e quindi sarà alla base della politica. La giustizia, più di altre, è la virtù etica che permette la realizzazione di quella vita buona che sarà condizione necessaria (anche se non sufficiente) per una vita felice.
La giustizia può essere, a seconda dei casi (che il virtuoso di volta in volta valuta), di due tipi:
- Commutativa
- Distributiva
La seconda è la giustizia che prevede che tutti sia dato secondo i suoi meriti (definita anche giustizia geometrica)
La prima invece è anche detta giustizia aritmetica e prevede che a ognuno sia dato in parti uguali.
Virtù dianoetiche
Le virtù dianoetiche sono le virtù dell'uso dell'anima razionale in sé. Come detto sopra l'esercizio delle virtù etiche può essere necessario ma non sufficiente per essere felici. La felicità si realizza infatti quando, tenuta a freno la volontà sensitiva, si esercita l'uso dell'intelletto, l'unica facoltà proprio dell'essere umano.
Le virtù sono 5 e per semplicità saranno qui divise in due gruppi (non ho l'unica divisione possibile!) a seconda delle due facoltà dell'anima razionale:
una facoltà scientifica teorica, poiché le virtù scientifiche , mirando alla conoscenza disinteressata della verità, non si prefiggono appunto nessun altro obiettivo al di fuori della sapienza in sé (sophìa). La facoltà scientifica si esprime
- nella scienza (epistème) come attitudine alla dimostrazione,
- nell'intelletto (noùs) come tendenza a conoscere i principi,
- nella sapienza (sophìa) che è sintesi di scienza e intelletto;
- dell'arte (technè),
- della saggezza o prudenza (phrònesis).
3. Politica
La politica è ancora una scienza pratica che si occupa del bene dell'uomo in relazione agli altri uomini, cioè in società e quindi si preoccupa di determinare quei principi o regole che possano permettere all'uomo di vivere in società abbastanza bene da poter esercitare le proprie virtù.
Anche la politica quindi ha come fine la felicità, ma creando le condizioni per realizzarla perché essa poi dipende dal singolo individuo e non dalla società. In questo c'è una netta distanza tra il pensiero del maestro Platone, per il quale invece la realizzazione dello Stato giusto assicurava di conseguenza la felicità dei suoi cittadini.
Altra forte critica che Aristotele fa a Platone e l'utopistica credenza che un uomo possa essere fare il bene non per se stesso ma per lo Stato (come i Custodi). Per Aristotele il bene, un individuo, lo fa solo o comunque si impegna a farlo solo se per se stesso e una buona politica, quindi, avrà il compito di determinare quali regole possano fare in modo che il fare il bene per se stessi possa avere come conseguenza fare il bene anche per gli altri (come trasformare quindi i vizi privati in pubbliche virtù, per usare parole che non sono di Aristotele).
Ogni individuo o nucleo della società si trova infatti, nella società, in un duplice e contrastante rapporto con gli altri membri della società: da una parte ne ha bisogno, dall'altra ne è in concorrenza. Come trasformare questo equilibrio instabile in qualcosa di stabile? Che è come dire: quale forma di Stato dare alla società per rispettarne i naturali rapporti di cui si compone? Per rispondere dobbiamo prima analizzare la società.
L'oikos
Il nucleo della società è la famiglia (Oikos) che per Aristotele ha tre significati convergenti:
- Famiglia come aggregazione naturale di individui legami tra loro da rapporto di sangue
- Casa come luogo fisico che condividono le persone sotto uno stesso tetto e quindi condividono gli stessi interessi (il convivere negli stessi spazi) o dovere (contribuire alla sopravvivenza di tutti)
- Centro produttivo come ciò di cui la casa e i suoi occupanti si occupano per creare i mezzi di sussistenza tramite il lavoro.
In sintesi, l'oikos è un gruppo di persone che, anche per ragioni di sanguem condividono uno spazio comune e che hanno ruoli diversi per lavorare e produrre mezzi di sopravvivenza. Fanno parte dell'oikos anche i servi, o schiavi, talvolta chiamati appunto anche famigli.
Nella famiglia sussistono almeno tre rapporti naturali:
- Uomo/donna
- Padre/figlio
- Padrone/servo
I rapporti dipendono dalla natura dei componente, ovvero dalla loro anima: nel primo rapporto entrambi i componenti sono dotati di anima razionale, ma solo l'uomo è capace di esercitare le virtù etiche (che è come dire che la donna non è in grado di tenere a freno le sue passioni). Per questo l'uomo ha un ruolo pubblico (cioè di rappresentanza della famiglia nella società) mentre la donna ha un ruolo solo privato (cioè si preoccupa solo della famiglia interna, del focolare).
Economia
Ogni oikos ha bisogno degli altri ma allo stesso tempo ne è in concorrenza. Ogni oikos ha bisogno degli altri perché produce merci che deve scambiare con gli altri (principio della divisione del lavoro che rende la vita in società preferibile a quella solitaria) ma al minor prezzo possibile.
Le leggi che regolano i rapporti tra gli oikos della società sono le leggi dell'economia. Economia, in greco, significa appunto "oikos nomos" (le norme che regolano l'oikos).
Ogni oikos per natura produce merci (necessarie alla sua sopravvivenza) che hanno quindi un valore d'uso (cioè valgono per quello che mi servono) ma poiché l'oikos non produce tutto quello di cui ha bisogno e non ha bisogno solo di ciò che produce, ogni prodotto ha anche un valore di scambio. Lo scambio dice Aristotele è una cosa naturale, è ciò che rende appunto preferibile il vivere in società: mantiene la divisione del lavoro e sposta le merci da dove non servono a dove servono. Lo scambio nella sua forma naturale avviene con il baratto, dove il valore di scambio delle merci viene decisa direttamente dai produttori ma poiché a volte è necessario utilizzare un intermediario si fa uso del denaro. Il denaro in economia NON è necessario ma è utile. Il problema dell'uso del denaro, avverte però Aristotele, può (non necessariamente) portare a una perversione dell'economia (detta crematistica) secondo la quale il denaro potrebbe essere non più il mezzo ma il fine dell'economia.
Stato
Quello della società economia è un equilibrio naturale a cui tutti gli uomini tendono perché permette di sopravvivere nel modo più semplice possibile ma, fa già notare Aristotele, è un equilibrio molto instabile (è sufficiente che qualcuno attenti alla proprietà di qualcun altro per creare il caos). Poiché interesse di tutti è rendere questo equilibrio stabile, nasce l'esigenza di dare alla società una struttura formale attraverso le leggi, creando appunto lo Stato.
Lo Stato nasce quindi come conservazione dell'equilibrio naturale della società economica, non per migliorarla. Interesse a che questo equilibrio si conservi è solo degli uomini liberi (dotati di una proprietà) e non degli schiavi (che invece potrebbero dalla politica cercare di ottenere ciò che non hanno), per questo, dice Aristotele, qualunque sia la forma di governo che una società si dia, questa per essere buona deve garantire che a fare le leggi vadano solo coloro che hanno, nella società, qualcosa da difendere. La politica non serve a sopravvivere e tantomeno ad arricchirsi (per quello c'è l'economia), la politica serve a conservare ciò che si ha già. Se un uomo non ha nulla significa che il suo destino, il suo stesso interesse, è quello di lavorare per chi ha qualcosa (equilibro naturale dell'oikos).
Le forme di governo buone dunque possono essere tre, a seconda di quanti uomini liberi razionali buono ci sono nella società. Se c'è un uomo particolarmente dotato nell'occuparsi della cosa pubblica, sarà interesse di tutti che sia solo lui a governare e allora la forma scelta sarà la Monarchia. Se gli uomini sono più d'uno, verrà scelta l'Aristocrazia, altrimenti la forma sarà quella per cui tutti gli uomini dotati di una proprietà possano governare e la forma sarà quella della Politìa. In tutti e tre i casi l'interesse dei governanti è la difesa della proprietà anche di coloro che governano.
Le degenerazioni possibili sono quelle per cui i governanti non pensano più a difendere l'equilibrio naturale ma ai propri interessi particolari (cioè a ottenere dalla politica vantaggi economici, gravissimo errore). Allora la monarchia diventa una tirannide, la aristocrazia una oligarchia e la politìa il governo peggiore di tutti, la democrazia. La democrazia è il governo peggiore perché porta al governo anche le persone che non hanno niente (i servi e i lavoratori in genere) e chi non ha niente desidera tutto e quello che naturalmente non sono riusciti a ottenere cercherebbero di ottenerlo artificialmente sovvertendo ogni più elementare regola dell'economia naturale.
Ricordiamoci che il greco, demos, non significa popolo nell'accezione moderna del termine, ma significa "plebe", ovvero quella parte della popolazione che non ha nulla.
La ricerca della felicità
La realizzazione di uno stato giusto rende felici?
La risposta deve essere no! Anche se la politica ha come fine la felicità, la felicità, il bene in sé, è un interesse del singolo, non della collettività. Lo Stato deve garantire la possibilità della felicità, mettere in condizioni gli uomini di esserlo, non obbligarli.
In un certo senso la Repubblica platonica si dava come obiettivo "obbligare" gli uomini a essere felici (cioè realizzare la loro natura) perché dalla loro felicità dipendeva quella di tutti gli altri (doppio equilibrio). Con Aristotele lo Stato ha il compito di garantire l'economia naturale e quindi una pacifica convivenza tra gli uomini tale da non destare loro preoccupazioni. Un uomo che non ha preoccupazioni sarà libero di seguire le proprie naturali aspirazioni, come ad esempi soddisfare le proprie curiosità intellettuali (in generale gli uomini sono razionali) e quindi essere viruosi e di conseguenza felici.
La politica è quindi funzionale all'etica e quindi alla realizzazione della felicità.