La Teoria delle Idee

5. L'autocritica

Giunto alla maturità del suo pensiero, Platone si accorge che le premesse da cui era partito non risolvevano alcune difficoltà fondamentali e si accinge a una coraggiosa revisione. 

Nelle opere giovanili aveva affermato che le idee sono molteplici, ma quale rapporto lega un'idea all'altra? Platone aveva affermato che esiste una “subordinazione” di tutte le altre idee a quella del Bene, in quanto questa rappresenta il fine ultimo dell'universo. È l'unica distinzione avanzata da Platone e la mancanza di altre metteva il suo sistema in grave difficoltà: infatti, se i rapporti fra le idee sono analoghi a quelli esistenti fra gli oggetti che a esse corrispondono, si può pensare che il mondo delle idee ricopre il modello degli oggetti sensibili e allora non sarebbe il mondo sensibile a copiare il mondo delle idee ma il contrario; se poi rigettiamo questa ipotesi, cadiamo nella concezione di un mondo delle idee che, rimanendo indistinte fra loro, vengono a identificarsi con l'essere unico. 

Nel Parmenide, nel Teeteto e nel Sofista Platone cerca di risolvere questa antinomia ricorrendo alla diàiresis (suddivisione del concetto in due, e ognuno di questi ancora in due fino a raggiungere quello che si deve definire) e a rapporti di tipo numerico. Con queste armi logiche Platone cerca di difendere la “positività del molteplice” contro il diffondersi nella sua stessa scuola della dottrina megarica dell'“essere unico”, e su questa strada giunge a sostenere come positiva la stessa idea di non-essere: se infatti un'idea si dice diversa da un'altra in quanto realizza ciò che in un'altra non esiste, dovremo ammettere che il non-essere esiste, perché il non-essere non significa “contrario all'essere”, ma solo “diverso”. Qui Platone tocca il punto centrale della sua autocritica: se infatti il non-essere è positivo, di tale positività sarà partecipe anche il mondo sensibile (definito all'inizio della sua ricerca pura e sola non-realtà) e la conoscenza sensibile, pur non essendo ancora conoscenza del reale, porta però in sé i germi della verità. La dialettica platonica a questo punto dilata le sue funzioni, rimanendo ancora sul campo del mondo delle idee, ma traducendosi nel contempo in metodo di ricerca ben più duttile con l'analisi e la sintesi e lo piega alle proprie esigenze di ordine metodologico e logico. Tanta audacia di autocritica metteva in crisi la sua costruzione precedente, ma Platone non s'impressiona delle conseguenze: da vero filosofo segnato dalla grandezza egli ha il coraggio di un continuo rinnovamento del suo pensiero e vi si infervora con la stessa forza creatrice del primo periodo giovanile. Platone non portò a termine questo processo di autocritica; altri dopo di lui lo portarono a compimento. Ultima fatica del filosofo fu l'elaborazione della teoria dei “numeri ideali”, per la quale riconduce a rapporti matematici fissi gli schemi strutturali del reale. La teoria rimase allo stadio di tradizione orale, ma ebbe molti esaltatori che la consideravano capace di spiegare le essenze e i rapporti fra le cose meglio della teoria delle idee; particolare valore speculativo, etico e mistico acquistano in essa i “numeri ideali” e la triade “limite, illimitato, medietà”. Enorme fu l'influenza esercitata da Platone sui posteri (platonismo).