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Non c’è per me proprio alcuna incertezza, dal momento che la Scrittura canonica, che deve essere
anteposta ad ogni ragionamento ed esperienza umana poiché ci è stata data da Dio, la conferma
irrevocabilmente. Ma ciò su cui io ho dei dubbi è se queste asserzioni non superino i limiti
naturali dell’uomo, così da presupporre qualcosa accettato per fede e rivelato, e se siano conformi
alle parole di Aristotele come sostiene lo stesso S. Tommaso. […] Sulla sua prima affermazione,
cioè che in realtà nell’uomo la facoltà sensitiva e quella intellettiva siano la stessa cosa, non ho
alcun dubbio; ma le altre quattro mi riescono molto oscure.
E in primo luogo che tale essenza sia per sé e veramente immortale, ma impropriamente e secondo
un certo aspetto mortale. In primo luogo, perché con ragionamenti simili a quelli con cui sostiene
questa tesi può essere provata anche la tesi opposta. Infatti, dalla constatazione che tale essenza
accoglie tutte le forme materiali, che ciò che è in essa accolto è inteso in atto, che non si
serve di un organo corporeo, che tende all’eternità e alle cose divine, si concludeva che essa è immortale.
Ma egualmente, poiché essa, come anima vegetativa, opera materialmente, e come anima
sensitiva non accoglie in sé tutte le forme, e in più si serve di un organo corporeo e tende alle cose
temporali e caduche, si potrà provare che essa è oggetto proprio del filosofo naturale. […] E l’altra
affermazione, che la mente viene dal di fuori, va riferita ad essa in quanto pura mente, non in
quanto mente umana; o se si vuole intendere riferita ad essa in quanto mente umana, non va presa
in senso assoluto, ma solo in quanto, in confronto alla vegetativa e alla sensitiva, essa partecipa
maggiormente della divinità. Infatti nel cap. 9° del IV libro del De partibus animalium è detto che
solo l’uomo è di natura eretta perché esso solo partecipa in modo notevole della divinità.
Non ammettiamo, tuttavia, che l’uomo sopravviva come anima dopo la sua morte, dato che essa
ha un principio, e (I libro del De coelo) «tutto ciò che ha un principio ha anche una fine»; e Platone
nell’VIII libro delle Leggi dice: «Tutto ciò che in un modo qualsiasi comincia ad essere, cessa
anche di essere». […]
E che proprio questo sia stato il pensiero di Aristotele sull’anima umana può essere chiarito anche
per mezzo di quel passo del libro XII della Metafisica, testo 39°, dove scrive queste parole:
«Ma la felicità, nella sua forma più alta, a noi è concessa per breve tempo; in quella forma in eterno
è concessa infatti agli Dei, mentre per noi è cosa impossibile».
Stando così le cose, mi sembra di dover sostenere su questo argomento, salva restando la dottrina
più giusta, che il problema dell’immortalità dell’anima è suscettibile di due opposte soluzioni,
come quello dell’eternità del mondo. Mi sembra, infatti, che non si possano addurre argomenti
di ordine naturale che concludano con assoluta certezza che l’anima sia immortale, e tanto meno
che essa sia mortale, come dichiarano moltissimi dottori che pur sostengono la sua immortalità.
Per questo non mi sono preoccupato di rispondere all’altra tesi, cosa già fatta da altri e in particolare,
in modo ampio, esauriente e serio, da S. Tommaso.
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Commento: |
Dell’immortalità dell’anima affermata dalle Scritture
Pomponazzi non dubita minimamente. Ma, su un
piano razionale (e non religioso), ritiene che non se ne
possa essere altrettanto certi. Egli dissente perciò da
Tommaso, per il quale l’immortalità dell’anima era ammissibile
anche sulla base della filosofia aristotelica. Si
ricordi, a questo proposito, che per l’Aquinate l’immortalità
dell’anima rappresentava – come l’esistenza di
Dio – uno dei preambula fidei, ossia una di quelle verità
oggetto non solo di fede, ma anche di ragione. Tommaso
distingueva (cosa che peraltro non faceva Aristotele)
tra forme «sussistenti» e forme «inerenti», identificando
l’anima umana con una forma sussistente, capace di sopravvivere
alla morte del corpo. Pur condividendo l’identificazione operata da Tommaso
tra la facoltà sensitiva e quella intellettiva (umane),
Pomponazzi non fa altrettanto per ciò che riguarda
le affermazioni dell’Aquinate a sostegno dell’immortalità
dell’anima. Se, con Tommaso, si può sostenere che l’anima è immortale
perché: 1. «accoglie tutte le forme materiali» in quanto queste sono intese «in atto»; 2. «non si serve
di un organo corporeo» in quanto «tende all’eternità
e alle cose divine», contro Tommaso si può sostenere
che l’anima è mortale in quanto 1. «come anima vegetativa,
opera materialmente»; 2. «come anima sensitiva
non accoglie in sé tutte le forme» proprio perché «si
serve di un organo corporeo» e «tende alle cose temporali
e caduche». Passando all’affermazione di Tommaso secondo
cui «la mente viene dal di fuori», Pomponazzi nota che
essa non può essere considerata una prova dell’immortalità
dell’anima individuale, in quanto si riferisce non a
quest’ultima, ma alla «pura mente», ovvero all’intelletto
divino. Ma, anche nel caso in cui l’affermazione tomista
venisse riferita alla mente umana, in realtà non andrebbe
interpretata in senso assoluto, ma solo relativamente
a quegli aspetti che differenziano la mente umana rispetto
a quella vegetativa e a quella sensitiva: aspetti
che (stando all’autorità di Aristotele, che Pomponazzi
richiama) derivano alla natura umana da quella divina. Il fatto che l’uomo partecipi della natura divina
non autorizza a sostenere che la sua anima sia immortale,
dato che essa ha un inizio (“nasce”, per così dire, con
il corpo), e tutto ciò che ha un inizio ha anche una fine,
secondo la testimonianza di Aristotele, ma anche di Platone.
A sostegno della finitudine temporale dell’anima
umana Pomponazzi porta anche una considerazione
sulla felicità, che, nella sua forma assoluta, agli uomini è
concessa solo «per breve tempo», potendone godere
«in eterno» soltanto Dio. Se, basandosi sulle proprie facoltà conoscitive
(con «argomenti di ordine naturale»), l’uomo
non può pervenire alla certezza dell’immortalità dell’anima,
ugualmente non può affermarne con certezza la
natura mortale. Per questo, nella sua argomentazione,
Pomponazzi non ha “confutato” gli argomenti di Tommaso,
ma si è limitato a sottolineare come questi possano
ugualmente essere addotti a sostegno di una tesi o
di quella opposta.
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