La paideia e il linguaggio: i sofisti
Nel V secolo a.C. l'attenzione dei filosofi verso la Natura sembra venire meno a favore di una maggiore attenzione verso chi, quella natura, cerca di conoscerla, ovvero l'Uomo. Possiamo individuare due motivi perché succede questo:
- Con Pitagora, Parmenide e Democrito si raggiunge la consapevolezza che la Natura sembra voler "sfuggire" alle regole della ragione (logos)
- Dal V secolo ad Atene si sviluppa un nuovo modello politico che permette a chiunque di poter fare politica attiva, la democrazia, che fa scoprire nuovi interessi nei filosofi su cosa sia l'uomo, quali siano i suoi bisogni (per natura) e come si adopera per soddisfarli con gli altri uomini in società.
La democrazia, retorica e paideia
Il nuovo modello democratico richiede la formazione di una nuova classe dirigente in cui gli uomini possano fare politica (cioè occuparsi della vita pubblica della polis) e per farlo devono avere piena coscienza della natura umana e dei suoi bisogni.
L'uomo, per natura, infatti, tende a vivere in società per soddisfare meglio la propria naturale tendenza alla sopravvivenza (in società la vita è più sicura) ma vivere in società significa anche doversi dare delle "regole" o "leggi" e quindi in società l'uomo deve affinare meglio l'unico strumento che ha a disposizione per comunicare bisogno e soluzioni: il linguaggio.
Il linguaggio è molto più che uno strumento, è LO strumento che l'uomo ha per comprendersi e per farsi comprendere e anche il risultato che gli permetterà di vivere in società è composto da parole: le leggi. Ma il linguaggio non serve solo a comunicare i propri bisogni ma anche a convincere gli altri delle regole migliori da attuare, per tutti, per vivere meglio. Senza una adeguata persuasione sulla bontà di una legge una vita in comune non sarebbe possibile. Per seguire una legge non basta essere minacciati con la forza, bisogna crederla giusta! L'arte della persuasione viene chiamata retorica ed è quella che i nuovi cittadini cercheranno adesso di imparare per meglio rendere possibile la vita in comune (o anche per fare carriera politica o forense, di cui la vita in comune ha comunque bisogno).
La diffusione della consapevolezza di questo strumento e delle sue potenzialità contribuiscono alla formazione di un nuovo modello culturale che prevede la formazione completa di un individuo, la Paidèia, necessaria per rendere l'uomo virtuoso, cioè seguente comportamenti che rispettano le due basilari regole per un esercizio della democrazia: si concorre attivamente nella vita pubblica, si rispettano le decisioni prese per il bene di tutti (anche del proprio). Le leggi sono il bene di tutti anche quando queste, nel particolare, possono essere contrarie all'interesse di qualcuno. Il perché è semplice: senza nessuna legge sarebbe impossibile vivere in comune e quindi tutti ne perderebbero molto di più del vivere con una legge contraria ai propri interessi particolari (meglio una cattiva legge che nessuna legge, dirà uno dei nuovi filosofi, come vedremo tra poco).
La retorica dunque possiamo definirla la "tecnica del ragionamento persuasivo" (padronanza del linguaggio e principi logici di argomentazione). Strettamente legata alla retorica sta però una profonda conoscenza del linguaggio che, si scoprirà, essere autonomo rispetto alla realtà e al penserio, frutto quindi di una convenzione. E i nuovi filosofi in particolare di questo si occuperanno.
I sofisti
I maestri di retorica che accorreranno ad Atene saranno generalmente chiamati Sofisti (portatori di sapienza) un termine che in Grecia veniva dato ai più sapienti (godevano di questo appellativo anche Talete e Pitagora, tra gli altri) ma che nel V sec acquista una connotazione dipregiativa in quanto questi nuovi maestri si facevano pagare per le loro lezioni. Pratica considerata scandalosa secondo la cultura aristocratica del tempo.
Al di là delle opinioni sulla loro condotta, quello su cui ci interroghiamo è se i sofisti, seppure maestri di retorica, possono essere considerai anche filosofi, cioè contributori in qualche modo di nuove teorie sulla natura e sull'uomo.
La nostra opinione è sì, in quanto:
- Hanno riflettuto sul rapporto tra l'uomo e la realtà decidendo di concentrare la ricerca sul soggetto anziché sull'oggetto
- Hanno ricercato un ambito dell'aspetto umano e della conoscenza ancora inesplorato: il linguaggio
- Hanno introdotto la filosofia politica, ovvero quella disciplina che si occupa dell'uomo in rapporto agli altri uomini
Se spesso si sono attirati contro inimicizie da parte degli ateniesi (o in generale degli abitanti delle città dove operavano) era dovuto principalmente al principio del relativismo che di fatto insegnavano: non esistono leggi assolute valide per tutti gli uomini ma esse cambiano a seconda delle esigenze di chi le deve rispettare. Quindi: le leggi possono cambiare da città a città e nessuna è migliore delle altre. Questo principio, secondo molti, faceva perdere l'attaccamento dei giovani nei confronti della loro città.
I sofisti spesso rispondevano che invece il lori insegnamento aumentava l'attaccamento verso la propria città perché davano a tutti gli strumenti per prendere parte attivamente alla vita politica e alla formazione di quelle leggi che poi essi stessi dovevano rispettare.
Protagora
Tra i sofisti spicca la figura di Protagora: egli nacque ad Abdera, in Tracia, verso il 480 a.C., svolse la sua attività di insegnamento girovagando per le città, soggiornando più volte ad Atene.
Protagora è passato alla storia per la sua celebre affermazione: "l'uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono, e di quelle che non sono in quanto non sono". E' difficile comprendere fino in fondo che cosa intendesse Protagora con "uomo" (l’uomo singolo? Un gruppo di uomini? Il genere umano?).
Con questa frase si sottolinea l'assoluta relatività della verità: si fa notare che ciascuno vede le cose alla sua maniera e in modo diverso rispetto agli altri; se io dico che una bevanda è dolce ed un altro dice che è amara, chi ha ragione dei due? Bisognerebbe avere un parametro che dice la verità, se è dolce o amara, il che è impossibile. Se io la sento dolce e un altro la sente amara, l'unica cosa da fare è chiedere il parere ad un terzo, ma non vi è mai un vero paragone con la cosa in questione.
Non si possono cogliere le cose come realmente sono, ma solo come appaiono all'uomo, ovvero come riesce a percepirle. L'esperienza personale, d'altronde, differenzia gli individui tra loro, anche per le diverse situazioni ambientali , culturali e politiche nelle quali essi vivono . In questa prospettiva si inquadra in modo centrale la collocazione dell'individuo nella città.
La città nasce dal mettere in comune, da parte di un gruppo di uomini, i propri bisogni e le soluzioni per soddisfarli. I bisogni cambiano, dipendono dalle esperienze personali di ognuno, ma poiché per soddisfare bisogni è preferibile essere in molti invece che da soli, tutti insieme si cercano soluzioni condivise che verranno poi interpretate in leggi. Le leggi, quindi, essendo la soluzione di problemi che sono frutto di esperienze personali di individui diversi, non sono assolute ma relative a quel gruppo di individui che decide di dotarsene. In questo contesto "l'uomo è misura di tutte le cose" equivale a dire "la comunità di persone della città è misura della giustizia delle leggi".
Il vivere in comunità, affermava Protagora, non è una scelta ma una necessità per ogni uomo (che è un animale sociale) e quindi non è arbitrario SE il darsi delle leggi. Quello che è arbitrario e dipende dalle esperienze è il COME darsi delle leggi e QUALI darsi.
Nel suo relativismo in qualche modo Protagora riesce a fare anche affermazioni universali che riguardano l'uomo come umanità.
Dal relativismo derivano il relativismo conoscitivo, per cui non esiste un principio assoluto, e il relativismo etico, secondo cui non esiste un bene o un modello di comportamento assoluto, ma ciò varia da uomo a uomo. In mancanza di una verità e un bene assoluti, la parola logos è dominatrice, e la retorica ha quindi un ruolo fondamentale al fine di persuadere l'interlocutore. Per dimostrare ciò Protagora elabora le cosiddette antilogie: discorsi contraddittori che evidenziano la relatività di valori e norme, mostrando che è possibile sostenere su un medesimo argomento due discorsi (logoi) in contraddizione tra di loro.
Gorgia
Chi ancora più a fondo ha analizzato il linguaggio è stato un altro sofista molto noto ad Atene: Gorgia di Leontini.
Noti sono soprattutto due suoi lavori: "Sul non essere" e "Elogio di Elena".
Nel primo lavoro Gorgia dimostra, per assurdo e per casi, che:
- Nulla esiste
- Se anche esistesse qualcosa non sarebbe conoscibile
- Se anche fosse conoscibile non sarebbe comunicabile
Il ragionamento argomentativo è molto semplice ed è sintetizzato qui. La lezione che Gorgia sembra dafci con questo lavoro è però un'altra: L'essere (inteso come esistente, realtà) è altro rispetto all'"essere", inteso come parola che la realtà descrive. In una formula:
Essere \( \neq \) "Essere"
Riassumendo possiamo dire che l'unica nostra realtà non è solo quella quella che riesco ad esprimere, ma è il linguaggio stesso che uso.
A sostegno di questa idea la seconda opera: "Elogio di Elena", un'opera dove Gorgia si pone l'obiettivo di difendere il personaggio forse più indifendibile per la storia/mitologia greca: Elena di Troia.
Il testo con il commento si trova qui.
Anche in questo caso abbiamo una argomentazione "per casi".
Per quali motivi Elena potrebbe aver seguire Paride?
- Perché costretta con la forza dallo stesso Paride. E in questo caso ovviamente Elena non avrebbe nessuna colpa.
- A causa del fato. E anche in questo caso non avrebbe colpa perché non è possibile sottrarsi al fato o alla volontà degli dèi.
- Perché innamorata di Paride. Anche in questo caso Elena sarebbe innocente perché non è possibile scegliere di chi innamorarsi, quando farlo e agire come se non lo si fosse. Amore era non a caso identificato, presso io Greci, come un Dio: Eros.
- Perché convinta da Paride a seguirla. Questo è l'unico caso che merita di essere analizzato.
Se Elena è stata oggetto di persuasione da parte di Paride, anche questa volta sarebbe innocente perché con le parole di lui, Elena, avrebbe avuto visione di una realtà che non era una realtà "altra" dalla propria, ma la sua stessa, una realtà nella quale l'unica decisione possibile era quella che le era stata prospettata quella migliore.
In questo testo Gorgia spiega non solo quanto potente sia la parola (capace di suscitare i più controversi sentimenti) ma quanto essa non sia solo un veicolo di trasmissione di punti di vista diversi sulla realtà che pretende di contenere ma che sia essa stessa la realtà. "Credere vero è rendere vero".
Physis e Nomos
Tornando alle questioni sociali e politiche, sintetizzando quello sostenuto fino adesso, possiamo dire che per i sofisti:
- per natura (physis) l'uomo tende a vivere con altri uomini per soddisfare bisogni che da soli non riuscirebbero a soddisfare e quindi il vivere in comune non è una scelta ma una necessità
- vivendo in comune gli uomini devono darsi delle regole (nomos) altrimenti la vita in comune sarebbe impossibile
- le regole, essendo decise da coloro che devono seguirle, sono "su misura" degli uomini e quindi non scritte nella natura umana, ma convenzioni
- è importante che, data una regola (legge), tutti riconoscano la sua utilità nel tenere unita una società di cui tutti hanno bisogno
- la retorica intesa come persuasione di qualcuno nei confronti di altri su cosa sia giusto o meno diventa strumento per il raggiungimento di una condizione necessaria per la convivenza
Sul rapporto physis (leggi di natura) e nomos (legge data dall'uomo) molti sofisti hanno discusso a lungo e possiamo immaginare le loro posizione come una sorta di tavola rotonda:
- Protagora: gli uomini non scelgono di darsi leggi (per physis, appunto) ma scelgono quali leggi (nomos) darsi. Di questo abbiamo sopra discusso.
- Ippia: per natura tutti gli uomini sono uguali ma le leggi li rendono diversi. Ippia intende che tutti gli uomini hanno i medesimi bisogni (per natura, appunto, quelli di vivere in comune per soddisfare le proprie esigenze legate alla sopravvivenza, quindi inevitabili), ma vivendo in comune le leggi danno a ognuno di loro un ruolo diverso per creare nella società un equilibrio tra parti diverse che, tutte insieme, concorrono a creare una sorta di grande organismo (la società) che possa soddisfare le sue parti contemporaneamente. In altri termini: così come un singolo uomo ha esigenze diverse (mangiare, dormire, vestirsi ma anche fare leggi etc) così la società divide i ruoli diversi i cittadini perché concorrano a soddisfarle tutte (chi coltiva, chi produce, chi fa vita politica etc)
- Callicle: per natura gli uomini sono tutti diverse ma le leggi li rendono uguali. Secondo Callicle (probabilmente un personaggio inventato da Platone, ma non è sicuro) in natura vigerebbe la legge del più forte e quindi il darsi delle leggi è una convenienza di dei più deboli che solo con la forza del diritto (e quindi del principio che davanti alle leggi siamo tutti uguali) possono garantirsi la sopravvivenza
- Trasimaco: la legge è l'utile del più forte. Questa affermazione si presta a più letture ma in questo contesto intenderemo questa: il più forte è chi ha i mezzi per meglio convincere gli altri cosa sia giusto quando, viene da sé, chi decide cosa sia giusto lo fa in base alla propria misura. Comunque, per quello detto sopra, quando si è persuasi che una legge sia giusta, quella legge diventa giusta.
- Antifonte: meglio una cattiva legge che nessuna legge. Se gli uomini si alleano per uscire da un ipotetico "stato di natura" dove nessuna legge garantisce la sopravvivenza di nessuno, l'incubo peggiore per un cittadino sarebbe quello di tornare in questo Stato. Per questo afferma Antifonte è molto difficile che un popolo si ribelli anche a quelle che ritiene leggi ingiuste (laddove questo non sia adeguatamente persuaso) perché tornare ad uno Stato senza leggi sarebbe di gran lunga peggiore che sopportare uno stato con leggi inique
- Crizia: laddove non arrivano le leggi arriva la religione. Crizia (per la cronaca allievo di Socrate, zio di Platone e uno dei Trenta Tiranno che governeranno Atene dopo la sua sconfitta con Sparta nel 404 a.C.) introduce un altro motivo per cui i cittadini spesso rinunciano a ribellarsi a leggi "ingiuste" (aprendo un altro capitolo che non approfondiremo qua, il rapporto tra leggi e religione): la paura degli Dèi che spesso chi detiene il potere politico eleva a garanti dell'ordine delle Leggi.